Nato nel 1968 a Johannesburg, in Sudafrica, Kendell Geers ha vissuto gran parte della sua vita in un contesto politico turbolento, segnato dalla segregazione razziale dell’apartheid. Questo ambiente ha profondamente influenzato la sua pratica artistica, alimentando la sua volontà di rompere le barriere e sfidare i dogmi sociali.

Dopo aver studiato belle arti presso il Wits Technikon di Johannesburg, Geers ha iniziato a esplorare l’arte concettuale el’arte del corpo come forme di espressione politica. Nei suoi primi lavori, ha affrontato tematiche come il potere, la violenza e l’identità, spingendo gli spettatori a interrogarsi sulle loro convinzioni e sulle ingiustizie del sistema politico sudafricano dell’epoca.

Geers prende parte ai movimenti antisegregazionisti e, condannato a sei anni di detenzione dal regime militare, nel 1988 raggiunge Londra come rifugiato politico. L’anno successivo Geers si trasferisce a New York, dove trova occupazione come assistente di Richard Prince. Fortemente attaccato alla sua terra, nel 1990, in seguito al rilascio di Nelson Mandela, l’artista torna in Sudafrica per prendere parte alla ricostruzione del Paese sotto l’egida della democrazia.

Il lavoro di Kendell Geers si caratterizza per la sua natura provocatoria e controversa. Utilizzando spesso oggetti di uso quotidiano, come armi, simboli religiosi o materiali di scarto, Geers crea opere che sconvolgono le aspettative degli spettatori e stimolano una riflessione critica sulla società contemporanea.

Una delle sue opere più famose è Hanging Piece del 1993, in cui una corda appesa al soffitto è collegata a un coltello puntato verso il pavimento. Questo lavoro simbolizza la tensione, la minaccia e il potenziale pericolo che permeavano la società sudafricana durante il periodo post-apartheid. Un altro esempio significativo del suo approccio provocatorio è Fuck Nations (1999), una scultura luminosa composta da neon che forma le parole “fuck nations”. Con questo lavoro, Geers critica il concetto di nazionalismo e sfida l’idea che le nazioni possano risolvere i problemi globali.

Geers utilizza anche la sua stessa presenza fisica come forma d’arte. In performance come “African Guilt and Innocence” (1996), si presenta come un uomo coperto di sangue, che mette in discussione le idee di colpa e innocenza nel contesto del passato coloniale e postcoloniale dell’Africa.

A partire dai primi anni Novanta, Geers prende parte a diverse esposizioni di risonanza internazionale, tra cui The Street. Where the world is made e Road to Justice al MAXXI (Roma, 2018 e 2017), Documenta (Kassel, 2017 e 2002), La Biennale di Venezia (2017 e 2007), Shanghai Biennale (2016), Punk. Its Traces in Contemporary Art al MACBA (Barcellona, 2016), Contemporary Art from the Centre Pompidou  alla Haus der Kunst (Monaco, 2016), INSERT 2014 all’ Indira Gandhi National Centre for the Arts (Delhi, 2014), The Luminous Interval al Guggenheim Museum (Bilbao, 2011) e la Bienal de São Paulo (2010), tanto per citarne alcune.

M77 ha avuto l’onore, nel 2021, di presentare OrnAmenTum’EtKriMen, personale dell’artista curata da Danilo Eccher. Il titolo della mostra OrnAmenTum’EtKriMen si basa sul saggio del 1908 Ornamento e Crimine dell’architetto austriaco Adolf Loos, pioniere dell’architettura moderna che condannò le decorazioni sulle facciate degli edifici come un eccesso inutile, persino pericoloso, guidando il corso dell’architettura verso il concetto di funzionalità. Per M77, Geers abbraccia l’eredità culturale di Loos interrogando i linguaggi del minimalismo e il modello della galleria “white cube”, gettando l’estetica contro un muro di mattoni e frammenti di etica infranta.

Attraverso una selezione di opere storiche, la più recente produzione e installazioni site-specific progettate per interagire con gli interni della galleria, l’artista ha dato vita ad un itinerario in cui la giustapposizione di materiali diversi e il forte impatto creato dal suo sapiente uso di colori e motivi danno origine a una serie di riferimenti incrociati e contrasti intesi a minare le credenze care all’osservatore, consapevolmente o inconsciamente immerso in un ambiente attraente ma  in realtà inospitale e potenzialmente pericoloso.

OrnAmenTum’EtKriMen è una chiamata alle armi. Ma, al posto dei proiettili, l’amore che come l’arte è un’arma di trasformazione: «L’arte cambia il mondo – una percezione alla volta».

Gallery Exhibition

M77 presenta OrnAmenTum’EtKriMen, personale dell’artista e attivista sudafricano Kendell Geers (Johannesburg, 1968) a cura di Danilo Eccher, aperta al pubblico da lunedì 21 settembre a sabato 30 gennaio 2021.

Europeo di origine, africano di nascita, Kendell Geers si definisce animista e mistico, sciamano e alchimista, punk e poeta. Impegnato nella lotta contro l’apartheid sin dall’adolescenza, Geers ha usato la sua esperienza di rivoluzionario per sviluppare un approccio psico-socio-politico in cui etica ed estetica sono viste come due facce della stessa medaglia che ruota sul grande tavolo della storia. Nelle sue mani la vasta narrativa dell’arte e i linguaggi del potere vengono messi in discussione, i codici ideologici interrotti, le aspettative deluse e i sistemi di convinzione e fede trasformati in canoni estetici.

Le contraddizioni intrinseche all’identità dell’artista sono incarnate nel suo lavoro. Le sue opere coniugano storia personale e politica, poesia e miseria, violenza e tensione erotica. Geers lavora con vari media e tecniche che vanno da oggetti di uso comune e installazioni di larga scala all’uso di neon sconfinando nella performance e nel video.

Il titolo della mostra OrnAmenTum’EtKriMen si basa sul saggio del 1908 Ornamento e Crimine dell’architetto austriaco Adolf Loos, pioniere dell’architettura moderna che condannò le decorazioni sulle facciate degli edifici come un eccesso inutile, persino pericoloso, guidando il corso dell’architettura verso il concetto di funzionalità. Per M77, Geers abbraccia l’eredità culturale di Loos interrogando i linguaggi del minimalismo e il modello della galleria “white cube”, gettando l’estetica contro un muro di mattoni e frammenti di etica infranta.

Attraverso una selezione di opere storiche, la più recente produzione e installazioni site-specific progettate per interagire con gli interni della galleria, l’artista crea un itinerario in cui la giustapposizione di materiali diversi e il forte impatto creato dal suo sapiente uso di colori e motivi danno origine a una serie di riferimenti incrociati e contrasti intesi a minare le credenze care all’osservatore, consapevolmente o inconsciamente immerso in un ambiente che è sì attraente ma che si dimostra in realtà inospitale e potenzialmente pericoloso.

OrnAmenTum’EtKriMen è una chiamata alle armi. Ma, al posto dei proiettili, l’amore che come l’arte è un’arma di trasformazione: «L’arte cambia il mondo – una percezione alla volta».